Secondo Living Lab Italiano – Il recupero di materia nel cemento e nel calcestruzzo

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L’11 dicembre 2018 ha avuto luogo il secondo Living Lab del progetto FISSAC per l’Italia, organizzato da RINA in collaborazione con ATECAP, Associazione Tecnico Economica del Calcestruzzo Preconfezionato. In linea con il primo Living Lab organizzato lo scorso anno presso l’AIB (Associazione industriale bresciana), anche il secondo ha rappresentato un momento di confronto fra i vari soggetti coinvolti a diverso titolo nel recupero di materia, per evidenziarne le criticità e le opportunità, in un’ottica di economia circolare ormai irrinunciabile per le aziende. L’evento ha infatti visto la partecipazione di esponenti del mondo dell’industria del cemento e del calcestruzzo, dei produttori di aggregati riciclati e dei principali soggetti che intervengono nella scelta dei prodotti da costruzione contenenti riciclato, come progettisti e imprese di costruzioni.

Come da programma allegato, l’evento è stato aperto da un’introduzione sul tema centrale del living lab, ovvero il recupero di materia per la produzione di cemento e calcestruzzo, grazie alle presentazioni tenute da Antonio Buzzi, in rappresentanza di Federbeton (Federazione delle Associazioni della Filiera del Cemento e del Calcestruzzo Armato) e da Pierandrea Fiorentini, per AITEC (Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento).

Il punto di partenza è coinciso con l’analisi delle motivazioni che nel tempo hanno portato l’industria della filiera del cemento a essere attiva su queste tematiche e a guardare con interesse a come i meccanismi dell’economia circolare si inseriscano tra le soluzioni volte al contenimento dei cambiamenti climatici. Antonio Buzzi ha ripercorso le varie tappe, a partire dagli accordi di Rio sul clima, ratificati nel ’94, fino agli impegni presi a Parigi nel corso della COP 21,che hanno portato ad una sempre maggiore consapevolezza riguardo al pensiero prevalente della comunità scientifica rispetto ai cambiamenti climatici, nonché alla conseguente necessità di implementare misure di mitigazione,. Questa consapevolezza richiede l’adozione di misure concrete , che i settori del cemento e del calcestruzzo stanno mettendo in atto, diventando attori fondamentali nella sfida globale alla riduzione delle emissioni di gas climaleranti. Il cemento, sottoforma di calcestruzzo in tutte le sue applicazioni, rappresenta il secondo prodotto più usato al mondo dopo l’acqua, e da solo contribuisce a circa il 6-7% delle emissioni globali di gas serra: questi numeri danno un’idea di quanto misure in questo settore, se agevolate e sostenute dai regolatori, potrebbero contribuire agli ambiziosi obiettivi di riduzione ed al soddisfacimento degli impegni concordati a Parigi. Diverse sono le possibili misure individuate dalla COP21, dall’incremento dell’uso di energia da risorse rinnovabili, all’utilizzo di biocarburanti e mobilità sostenibile; da strumenti regolatori e metodi di tassazione, alla cattura e stoccaggio della CO2. Nel settore del cemento e del calcestruzzo, nonché delle loro applicazioni e della filiera tutta, migliorare l’efficienza dei processi, impiegare materie prime di scarto provenienti da altri processi industriali, già decarbonatate, cioè che non sviluppano CO2, produrre prodotti in grado di captare la CO2 dell’atmosfera ricarbonatandosi, studiare leganti innovativi a minore impatto ambientale e a crescente contenuto di riciclato, sono tutte strade che il settore del cemento investiga da tempo, così come l’utilizzo di prodotti derivanti da demolizione o di materie prime seconde. Gli ostacoli maggiori sono rappresentati non da limiti tecnici, ma dalle difficoltà burocratiche che troppo spesso portano al rallentamento o all’interruzione di processi già validati dal punto di vista tecnologico. Problematica alla quale i decreti end of waste potrebbero dare una risposta.

È d’accordo Pierandrea Fiorentini nel ribadire che i temi dell’economia circolare non sono nuovi per i settori del cemento e calcestruzzo, che da tempo cercano soluzioni per ridurre il consumo delle materie prime e limitare l’estrazione di aggregati naturali da cava. Nonostante infatti la produzione del cemento abbia attraversato periodi di crisi, dopo i picchi toccati nei primi anni 2000, la richiesta di materie prime resta importante. Diverse sono le materie prime che potrebbero venire sostituite da scarti, sottoprodotti o end of waste (materiali di sostituzione con cappelli giuridici diversi, a seconda delle diverse autorizzazioni che le aziende che li producono hanno ottenuto), provenienti ad esempio dall’industria siderurgica. Il tasso di sostituzione delle materie prime naturali nel 2017 è stato pari al 7,4% (rispetto al teorico autorizzato del 12%), ovvero sono stati recuperati e riutilizzati nel ciclo produttivo 1,8 milioni di tonnellate di materie prime sostitutive (. Tra i materiali di sostituzione, ceneri o gessi normalmente sono classificati rifiuti, sottoprodotti, od end of waste. Spesso i materiali che possono essere utilizzati nella miscela preparatoria per la produzione del cemento (cd.a farina cruda); contengono ossidi di calcio già decarbonatati e sono quindi in grado di ridurre le emissioni di CO2 in fase di cottura. Quindi, se all’interno del settore vengono individuate delle opportunità per la riduzione delle emissioni, le fasi autorizzative spesso incontrano difficoltà, sia per quanto concerne il recupero di materia che per il recupero energetico. Una facilitazione in tal senso invece sarebbe auspicabile anche alla luce del fatto che si tratti di materiali non pericolosi, dal momento che spesso le cementerie sono autorizzate in procedura semplificata, in base al d.m. 5 febbraio ’98., L’aspetto legislativo diviene inoltre ulteriormente limitante nel momento in cui le condizioni per il riutilizzo non sono chiare e possono generare incertezza per le aziende.. Per questo motivo spesso le aziende preferiscono la strada del rifiuto, dove la norma e gli adempimenti richiesti sono chiari, a quella del sottoprodotto o dell’end of waste, che andrebbero invece incoraggiati, ma che invece ad oggi subiscono una legislazione incerta. Questa situazione crea un aggravio per le aziende: si pensi ad esempio alle ceneri volanti – quasi sempre rifiuti – che non potrebbero venire miscelate con altre ceneri non classificate come rifiuti, perché richiederebbero una diversa gestione del registro carico/scarico.

Gli interventi di Margherita Galli e Giovanni Pinto di ATECAP si sono focalizzati sulla produzione di calcestruzzo strutturale e non strutturale con aggregati riciclati, specificando che l’aggregato naturale può essere sostituito da due tipi di aggregato: industriale (come ad esempio la scoria da acciaieria) e l’aggregato riciclato (da demolizione). Per chiarire meglio il quadro normativo, sono state presentate tutte le norme di riferimento: la EN UNI 12620:2008, che classifica i costituenti di aggregati grossi riciclati; la 206, che nell’Annex E fornisce anche indicazioni sull’utilizzo degli aggregati di riciclo in rapporto alle classi di esposizione; la UNI 11104:2016, che specifica la massima sostituzione di aggregato grosso. In generale, le Norme tecniche per le costruzioni (d.m. 17 gennaio 2018) definiscono le percentuali per l’impiego di aggregato grosso riciclato da rifiuti da costruzione e demolizione, in funzione dell’origine del materiale e della classe del calcestruzzo – materiali molto misti, ad esempio, possono essere utilizzati solo per calcestruzzi con classe di resistenza bassa. Durante la presentazione, è stato sottolineato quanto sia alto il potenziale recupero di materia per la produzione del calcestruzzo (27 milioni di m3 nel 2016) e di come, ad esempio, la richiesta di materiali alternativi potrebbe venire assolta dal settore delle costruzione e delle demolizioni, che nel 2016 ha visto la produzione di 53 milioni di tonnellate di rifiuti. A livello industriale rispondere ai principi dell’economia circolare è oramai vista come unica scelta possibile, incentivata anche all’interno dei CAM (Criteri Ambientali Minimi), che prevendono alcuni criteri specifici per il calcestruzzo, come la percentuale di materiali riciclati. Allo stesso tempo però la volontà di promuovere il recupero di materia nel calcestruzzo si scontra con la burocrazia, e con la diffidenza degli organi di controllo e delle committenze, così come con la difficoltà di reperimento di produttori di aggregati riciclati. Va considerato, infatti, che in questi casi se il produttore non è locale, le distanze hanno un ruolo importante sui costi, e spesso diventano un fattore limitante. Tra le misure individuate per ridurre queste criticità ci sarebbero un maggiore ricorso alla demolizione selettiva, prevista anche all’interno del nuovo pacchetto sull’economia circolare, che faciliterebbe la separazione del calcestruzzo dalle altre frazioni, che risulta invece difficoltosa nelle microdemolizioni, che danno origine principalmente a frazioni miste; lo stanziamento di incentivi, sia finanziari che fiscali, ma anche analoghi a quelli previsti dal regolamento edilizio del comune di Bologna o dal regolamento scavi del comune di Roma, che introducono meccanismi premianti; i decreti end of waste, sui quali al momento il Ministero Ambiente è fermo (c’è solo una bozza sui rifiuti inerti), che potrebbero rappresentare un valido strumento per avere regole certe e omogeneità interpretativa sul territorio. ATECAP, in collaborazione con ANPAR (Associazione Nazionale Produttori Aggregati Riciclati), per vincere la diffidenza dei produttori di calcestruzzo nell’accettare materiali di cui non sono certe origine o prestazioni, ha preparato un Quaderno contenente consigli operativi per la gestione da parte dei produttori di calcestruzzo, informazioni relative ai nuovi CAM edilizia e ai protocolli di sostenibilità, un’indicazione delle informazioni che dovrebbe contenere il “Fascicolo tecnico” di accompagnamento degli aggregati e un’appendice normativa. Le due associazioni hanno inoltre sviluppato un protocollo di controlli di produzione a cui i produttori di aggregati da riciclo associati all’ANPAR potranno attenersi in modo da fornire, in taluni casi, garanzie ancora più restrittive agli utilizzatori rispetto alle frequenze di prova imposte dalle norme di riferimento (diversi per uso strutturale e non strutturale), all’interno del quale sono indicate varie tipologie di prove e frequenze. L’auspicio è quello che i produttori di aggregati riciclati alleghino il “Fascicolo Tecnico” alla fornitura di aggregati riciclati o artificiali per riportare in modo esaustivo e organizzato tutte le informazioni necessarie a rassicurare l’utilizzatore sul processo di gestione dei rifiuti C&D e sulla qualità dei materiali recuperati da tali rifiuti. In particolare, all’interno del fascicolo dovrebbero essere riportate informazioni relative alla filiera produttiva, alle certificazioni possedute, ai risultati delle analisi di compatibilità ambientale (test di cessione, analisi sul tal quale), le etichette CE, la Dichiarazione di Prestazione (DoP), la Classificazione ai sensi della circolare del Ministero Ambiente 5205/2005 e/o della norma UNI 11531-1, la Scheda tecnica di prodotto. Se ci fossero maggiori controlli preventivi, anziché ispezioni a valle, le aziende potrebbero essere meno restie nell’utilizzo di questi materiali. Contestualmente sono state presentate alcune esperienze di utilizzo di aggregati di riciclo in calcestruzzi strutturali e non strutturali così come alcuni casi di successo e schemi di incentivo che potrebbero venire presi ad esempio, con premialità su alcuni requisiti quali ad esempio il riutilizzo materiali, o l’uso di materiali regionali.

Dopo le presentazioni iniziali, la tavola rotonda moderata da Carlo Strazza ha rappresentato un momento di confronto tra diversi stakeholder coinvolti a vario titolo lungo le diverse filiere in oggetto. Pier Federico Baldinucci (Colacem Spa), in rappresentanza di AITEC, ha presentato le criticità incontrate a livello locale nel recupero di materia da altri processi produttivi, per la produzione di cemento, con particolare riferimento agli ostacoli incontrati rispetto alla gestione delle procedure autorizzative, portando anche esempi dalla propria esperienza industriale. L’AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale, nonostante la normativa imponga all’ente valutatore tempi certi, prevede tempi lunghi e incerti per ottenerla ed eventuali ricorsi al TAR o dispute politiche possono ulteriormente allungare questi tempi, con grande aggravio per le aziende, non solo in termini di costi ma anche di esposizione mediatica negativa. Le aziende si trovano spesso infatti a dover fare i conti con la diffidenza dell’opinione pubblica rispetto ai loro stabilimenti, e una scarsa attendibilità della comunicazione scientifica; anche il proliferare di fake news possono rappresentare un reale problema per il loro operato. La parola “rifiuto”, ad esempio, è ad oggi ancora vista con diffidenza, così come spesso il suo riutilizzo all’interno dei processi produttivi. Rispetto a questa diffidenza e alle azioni che ne conseguono, le aziende si vedono poco tutelate dalle normative: ogni area geografica italiana ha posizioni differenti in merito all’implementazione delle misure per l’economia circolare, talvolta anche in contrasto con quelle nazionali, e l’assenza delle istituzioni pubbliche nel dibattito, rende più difficile contrastare le fake news e superare le diffidenze. Open day, visite agli stabilimenti, workshop di approfondimento sono stati individuati dalle aziende come strumenti utili per sensibilizzare l’opinione pubblica, tuttavia talvolta le aziende si sentono lasciate sole dalle istituzioni. La necessità dei produttori risulta quindi quella di maggiore tutela da parte delle istituzioni e di una filiera più strutturata, che possa limitare l’uso eccessivo delle discariche. Serve inoltre un network domanda-offerta, perché non sempre è facile stabilire un link diretto tra chi deve smaltire e chi produce.

A seguire, Bruno Crucitti (Crucitti Group Srl), Consigliere ATECAP, ha parlato della diffidenza dei produttori nell’utilizzo di aggregati riciclati e industriali nel mix design del calcestruzzo e dei problemi nell’applicazione dei CAM edilizia. La consapevolezza dell’importanza del tema dell’economia circolare è infatti forte per la classe imprenditoriale, ma l’impiego di materiali riciclati è ancora basso. Spesso infatti la volontà di utilizzare materiali riciclati per applicazioni quali ad esempio il rilevato stradale si scontra con il timore di incorrere in sanzioni e la direzione lavori preferisce l’utilizzo sicuro del materiale naturale. Le pubbliche amministrazioni e le società appaltanti andrebbero maggiormente coinvolte, ad evidenziare ineluttabilmente che questi materiali rappresentano una risorsa.

Alessandra Ronchetti, in rappresentanza di ASSOBETON, Associazione nazionale industrie manufatti cementizi, ha tenuto un intervento sul riuso interno di calcestruzzo e sul recupero di materia negli impianti di prefabbricazione. ASSOBETON raggruppa diversi produttori di manufatti in calcestruzzo – strutturali e non strutturali – da elementi del capannone alle travi da ponte, stadi, fino a tubi per fognature, traverse ferroviarie, arredo urbano etc. All’interno dell’associazione è maturata la consapevolezza della necessità di ridurre l’uso di materiale vergine, in favore di materia proveniente ad esempio da demolizione, con il duplice vantaggio di ridurre l’utilizzo di risorse naturali e allo stesso tempo ridurre il quantitativo di rifiuti da inviare in discarica. Tuttavia anche in questo caso viene riscontrato un grosso problema normativo e diverse difficoltà legate ai processi autorizzativi. Nel 2012 ASSOBETON, in collaborazione con ATECAP, aveva provato a preparare un dossier sui sottoprodotti, per dimostrare che i loro prodotti potevano rientrare nella definizione del Codice dell’Ambiente, ma non hanno ottenuto una risposta chiara dal Ministero. Sussiste infatti un problema interpretativo, e diverse industrie preferiscono tutelarsi e scegliere la strada del rifiuto in ogni caso. Si spera che il decreto end of waste possa fare chiarezza in questa situazione. Al momento i riferimenti che definiscono le percentuali massime di riutilizzo di calcestruzzo interno negli stabilimenti di prefabbricazione qualificati sono le Norme tecniche per le costruzioni. I CAM possono coprire un ruolo chiave in questa partita, ma anche in questo caso ci sono alcuni coni d’ombra e incertezze da parte delle aziende, ad esempio sull’obbligatorietà dei CAM nel Codice degli applati o sulle modalità di certificazione del contenuto di riciclato.

Alle difficoltà burocratiche si aggiungono alcuni limiti dal punto di vista economico: l’aggregato riciclato non costa meno di quello di cava, e talvolta addirittura di più, e per questo spesso non viene preferito, in un settore molto sensibile ai costi come quello delle costruzioni. D’altra parte in paesi dove l’aggregato naturale scarseggia, come i Paesi bassi, si arriva fino al 50% di riciclato, a riprova che quella del recupero di materia è una strada percorribile.

Nicola Mondini ha portato la voce di ANPAR e dei 18 anni di attività dell’Associazione, da sempre impegnata a condividere conoscenza su riutilizzo di aggregati riciclati, anche tramite la partecipazione a numerosi convegni nazionali (più di 90 nell’ultimo anno). L’Associazione ha anche prodotto le linee guida relative alla produzione di calcestruzzo con aggregati riciclati e industriali. Lo scopo è quello di riuscire a risolvere o minimizzare le numerose difficoltà incontrate dalle imprese, prima fra tutte quella legata al problema autorizzativo: da regione a regione i requisiti per essere autorizzati cambiano, creando confusione per le aziende che vorrebbero intraprendere questo percorso. Le linee guida, realizzate in collaborazione con ATECAP, vogliono dare indicazioni più restrittive (non vincolanti, ma premianti) per la produzione di aggregati riciclati.

Gianluca Gamba ha portato la testimonianza del lavoro che viene svolto presso l’impianto di Calvisano di DIMA, Gruppo Feralpi, impegnato nel recupero delle scorie da acciaieria per il loro successivo utilizzo nella produzione di cemento e calcestruzzo. La scoria da acciaieria rappresenta un aggregato industriale, quindi molto diverso dall’aggregato riciclato: il suo contenuto può arrivare fino al 90% nei calcestruzzi, rappresentando un prodotto ormai ampiamente testato e collaudato, anche grazie alla ricerca effettuata in questo campo. L’aggregato industriale presenta infatti caratteristiche piuttosto stabili (diversamente da quello riciclato), garantendo continuità di prestazione. È stato quindi sottolineato il fatto che quello che esce dagli impianti di recupero scorie è a tutti gli effetti un prodotto, marcato, sul quale sono stati effettuati tutti i controlli del caso. Di conseguenza il fatto che derivi da un rifiuto diventa quasi secondario, dal momento che l’impianto di recupero deve garantire le caratteristiche del prodotto, riportate in etichetta.

Silvio Bosetti è intervenuto nella tavola rotonda in rappresentanza della Fondazione Ordine Ingegneri Milano, organismo creato dall’ordine professionale per divulgare le tecniche per la professione e per il mantenimento delle competenze. Una possibile risposta alla confusione creata dalle difficoltà burocratiche potrebbe essere quella di rafforzare il sistema gestionale con norme tecniche: elemento di successo/criticità dell’innovazione. La diffusione di best practices è vista in questo caso come un valido strumento per vincere la diffidenza e far recepire la legalità dei prodotti, così come rapporti tecnici, libri bianchi, prassi di riferimento prodotte dall’UNI (riconosciute a livello nazionale). La divulgazione di queste informazioni potrebbe passare proprio tramite gli ordini professionali, dal momento che uno dei loro ruoli è quello di erogare crediti formativi (CFP), attraverso i Corsi di aggiornamento professionale. Fondamentale risulta inoltre in tal senso il dibattito tra diversi stakeholder, che andrebbe favorito ed incoraggiato.

Marco Martini, di Assimpredil Ance – Associazione delle Imprese edili e complementari delle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza – ha portato una testimonianza relativa all’approccio delle imprese edili nei confronti dei prodotti da costruzione contenenti materiali riciclati. In particolare ha espresso la volontà di Ance, in veste di utilizzatore finale, di essere parte di questo meccanismo virtuoso di riduzione dell’impatto ambientale e del consumo delle risorse, ma ha anche evidenziato che il limite per concretizzare tale volontà, dal punto di vista dei costruttori, non è tecnico ma legislativo. La possibilità di produrre calcestruzzo con materiale di recupero è infatti una pratica ormai collaudata, e abituale in molti paesi europei. Tuttavia esistono difficoltà rilevanti a livello normativo, relativamente alla gestione del materiale. Spesso la Pubblica amministrazione non richiede calcestruzzo con aggregato riciclato per effetto di un timore generalizzato. Inoltre le gare d’appalto sono esclusivamente basate sul requisito economico, ed è difficile conciliare questo aspetto con l’uso del calcestruzzo con aggregato riciclato, che andrebbe incentivato in qualche altro modo.

Un momento di dibattito aperto ha seguito la tavola rotonda. Si è parlato, tra i vari spunti emersi per la discussione, della necessità di parlare di economia circolare non solo in termini di requisiti dei riciclati, ma in modo sistemico, soffermandosi anche sui requisiti dei prodotti finiti. Si è discusso quindi delle diverse soluzioni intavolate per risolvere la confusione normativa, ma alcune, come ad esempio il test di cessione, sono viste come misure che anziché semplificare complicano ulteriormente, creando un sistema ancora più rigido. Quello che risulta necessario è chiarire meglio il concetto di eco compatibilità e ragionare sulla tracciabilità dei materiali, per premiare le aziende virtuose. Usare sistemi per vidimare, ad esempio, l’indice di riciclabilità o circolarità, potrebbe essere un buon modo di individuare le aziende più virtuose, prestando però sempre attenzione alla credibilità di queste informazioni. Etichette come l’EPD o autocertificazioni hanno peso diverso, ma seguono anche logiche di mercato diverse: l’EPD ha tempistiche e costi di un certo rilievo, mentre la verifica del contenuto di riciclato rappresenta un tipo di informazione di diverso dettaglio.

Parlando più nello specifico del progetto FISSAC, e della piattaforma informatica che questo mira a sviluppare, è emerso che il matchmaking tra domanda e offerta risulta una necessità sentita dagli stakeholder presenti, soprattutto se in aggiunta la piattaforma potesse fornire informazioni utili per l’instaurazione di questi processi, come ad esempio fornire indicazioni su come usare le norme: le norme sono infatti numerosissime, e andrebbe facilitata la loro lettura ed interpretazione. Una potenziale problematica per l’utilizzo della piattaforma è stata individuata nella validazione degli utenti; è stata sottolineata, durante il dibattito, la necessità di prestare attenzione all’accreditamento.

Quello che sarebbe d’aiuto inoltre è un riscontro effettivo da parte di enti di controllo: spesso infatti, a causa delle difficoltà normative, le piattaforme di questo tipo non decollano perché i soggetti non si sentono tutelati rispetto alla propria situazione autorizzativa. Si è parlato anche delle tempistiche per l’instaurazione di pratiche di simbiosi industriale ed economia circolare: anche una volta indentificata la domanda e l’offerta, è necessario aspettare la risposta della provincia, e questo può comportare tempi lunghi (l’AUA – Autorizzazione Ambientale Unica è ancora più complessa dell’AIA).

Un punto di forza potrebbe derivare dalla collaborazione con altri enti attivi in questo ambito, quali ad esempio l’osservatorio sottoprodotti della regione Emilia Romagna o quello della Lombardia.

SINTESI DEI RISULTATI

Il secondo Living Lab organizzato nell’ambito del progetto FISSAC ha rappresentato una valida occasione di confronto fra diversi stakeholder coinvolti a vario titolo lungo le filiere del cemento e del calcestruzzo.

Sono state presentate le opportunità legate al recupero di materia ed illustrati i benefici che questo potrebbe portare, soprattutto dal punto di vista ambientale. Allo stesso tempo, sono state passate in rassegna le difficoltà che produttori e utilizzatori incontrano e che talvolta ostacolano l’instaurazione di questi processi di simbiosi industriale. In particolare, analogamente a quanto riscontrato durante il primo Living Lab italiano, i partecipanti hanno evidenziato una eccessiva burocrazia e un quadro autorizzativo poco chiaro e soggetto a diverse interpretazioni.

La conseguente diffidenza, anche da parte delle committenze, rappresenta dunque un ostacolo ad oggi rilevante per il recupero di materia, nonostante sia ormai ampiamente validato dal punto di vista tecnico, anche considerando che le filiere del cemento e del calcestruzzo sono attive da anni nella ricerca di soluzioni volte a ridurre il proprio impatto ambientale. Quando il quadro normativo per i rifiuti risulta più semplice, le industrie sono conseguentemente portate ad optare per la strada del rifiuto anziché per quella del sottoprodotto o dell’end of waste. I partecipanti auspicano dunque un quadro normativo più chiaro, che possa fornire indicazioni omogenee e promuovere il recupero di materia. La piattaforma che è in corso di sviluppo all’interno del progetto FISSAC potrebbe supportare le aziende nel recupero di materia non solo facilitandole nella ricerca di opportunità di simbiosi industriale, ma anche guidandole nell’interpretazione del percorso normativo. Per un proficuo sviluppo della piattaforma FISSAC e la sua effettiva implementazione, sinergie con le diverse realtà già attive e operanti in questo settore possono rappresentare un punto di forza, così come la promozione di iniziative virtuose come il Quaderno realizzato da ATECAP-ANPAR, e il protocollo di controlli.